Venerdì gli Stati Uniti hanno bombardato milizie filo-iraniane in Siria e in Iraq, in risposta agli all’attacco in Giordania della settimana scorsa, in cui sono morti tre soldati statunitensi.
I bombardamenti americani hanno colpito più di 85 obiettivi, fra cui quartier generali, centri di intelligence, razzi e missili e siti di stoccaggio e munizioni collegati alle milizie e anche ai pasdaran. “Gli Stati Uniti hanno colpito unità iraniane d’élite e milizie alleate di Teheran in raid effettuati in Siria e Iraq”, ha comunicato lo United States Central Command in un post su X. I bombardamenti, secondo quanto reso noto dal tenente generale Douglas Sims, sarebbero durati 30 minuti e avrebbero colpito tre siti in Iraq e quattro in Siria.
“La nostra risposta è iniziata oggi. Continuerà nei tempi e nei modi che decideremo”, ha affermato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. “Che tutti coloro che potrebbero cercare di farci del male sappiano questo: se fai del male a un americano, noi risponderemo”.
Critiche dall’Iraq: il portavoce dell’esercito iracheno Yahya Rasool ha affermato che gli attacchi americani “costituiscono una violazione della sovranità irachena e minano gli sforzi del governo iracheno, ponendo una minaccia che trascinerà l’Iraq e la regione verso conseguenze indesiderabili”. Proteste anche dalla Siria: i bombardamenti degli Stati Uniti hanno ucciso “un certo numero di civili e soldati, ne hanno feriti altri e hanno causato danni significativi a proprietà pubbliche e private”, hanno detto in un comunicato le forze armate siriane. “L’occupazione di parti del territorio siriano da parte delle forze statunitensi non può continuare”. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, ha al contrario affermato che gli obiettivi “sono stati scelti attentamente per evitare vittime civili e sulla base di prove chiare e inconfutabili che erano collegati ad attacchi contro il personale statunitense nella regione”. Kirby si è tuttavia rifiutato di dare delle prove di quanto affermato.