Petrolio russo: dal 5 dicembre embargo e tetto del prezzo

di Francesco Caputi

 

A partire dal 5 dicembre, i Paesi dell’Unione europea avranno il divieto di acquistare petrolio greggio dalla Federazione russa trasportato via mare.

Oltre all’embargo, l’UE imporrà anche un tetto massimo al prezzo (60 dollari), in modo tale da ridurre le entrate della Russia. Proposta, questa, che fa discutere: la Polonia e l’Ucraina avrebbero preferito un prezzo massimo di 30 dollari, e anche secondo il gruppo di esperti sulle sanzioni alla Russia Yermak-McFaul il price cap di 60 dollari non basterebbe, e dovrebbe essere fissato a 35 dollari. La soluzione proposta dal gruppo ridurrebbe i proventi delle esportazioni di petrolio e gas di Mosca a 100 miliardi di dollari, per penalizzare ancora di più l’economia russa. “La nostra analisi suggerisce che il punto di forza è uno sconto di circa 50 dollari al barile. Il prezzo massimo imposto alla Russia, che si aggirerebbe intorno ai 35 dollari al barile, sarà comunque superiore al costo di produzione, ma ridurrà le entrate petrolifere della Russia, mettendo sotto pressione il bilancio e la bilancia dei pagamenti del Paese”, ha spiegato Nataliia Shapoval, vicepresidente per la ricerca politica della Kyiv School of Economics.

Secondo Vladyslav Vlasiuk, esperto di sanzioni presso l’Ufficio del presidente Zelensky, è da aspettarsi che la Russia possa mettere in atto “diversi schemi nel tentativo di minare il meccanismo dei prezzi”. Per questo motivo, “è fondamentale che le sanzioni siano supportate da un meccanismo per evitare qualsiasi elusione. I governi e le terze parti dovrebbero agire insieme e garantire il più possibile il monitoraggio e la trasparenza del sistema di esenzione dal tetto”.

L’imposizione del price cap al prezo del petrolio che le navi possono trasportare non è solo europea, ma anche mondiale. Questo perché buona parte degli armatori che gestiscono navi petroliere hanno sede nell’Unione europea.

Le possibili conseguenze

Secondo l’International Energy Forum, i Paesi dell’UE, con l’embargo alla Russia, potrebbero avere almeno 3 milioni di barili in meno ogni giorno. La Russia, allora, potrebbe cercare di vendere petrolio greggio ad altri Paesi, per esempio l’India e la Cina. Tuttavia, secondo Marco Mencini, senior portfolio manager di Planisfer, “sui prezzi dei prossimi mesi influiscono due varianti importanti, cioé quanto saranno efficaci le sanzioni e l’evoluzione dell’economia cinese”.

“Nel primo caso – ha spiegato – bisognerà valutare quanto la Russia riuscirà a trovare mercati alternativi all’Occidente per le sue forniture. Soprattutto, se i possibili acquirenti saranno in grado di trovare modi per non effettuare transazioni in dollari, anche se questo dipenderà molto da quanto saranno severi i controlli americani, in base alle sanzioni geopolitiche. E in ogni caso, per i russi non sarà semplice trovare altri mercati che sostituiscano i Paesi occidentali. La Cina, per esempio, ha già fatto sapere che vuole differenziare i fornitori per non dover dipendere eccessivamente da qualcuno. Per cui non acquisterà da Mosca oltre il 15% del suo fabbisogno”. Inoltre, “la recente decisione dell’Opec+ di tagliare la produzione di 2 milioni di barili aumenta i rischi per la sicurezza energetica in tutto il mondo e potrebbe portare a un aumento dei prezzi del petrolio, punto di svolta per una recessione globale”.

L’Unione europea, quindi, in questo momento, si trova nella difficile situazione di tentare di mantenere un equilibrio tra il tentativo di ridurre l’acquisto di petrolio russo ed evitare che la scarsità di petrolio russo sul mercato possa far salire il prezzo delle forniture da parte di Paesi come l’Arabia Saudita. Un aumento del prezzo del petrolio, oltre a danneggiare l’UE, non farebbe altro che avvantaggiare la Russia, che venderebbe a prezzi più alti all’India o alla Cina.

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