India, “lockdown più grande al mondo”

di Francesco Caputi

Due giorni fa, l’India ha messo in atto “l’esercitazione da lockdown più grande al mondo”, durata 14 ore

 

Lockdown India

Coprifuoco dalle 7 alle 21, collegamenti ferroviari sospesi fino al 31 marzo, chiusura di tutti i servizi non essenziali e di uffici privati. Aperti solamente farmacie, drogherie e alimentari. E’ così che l’india, due giorni fa, ha tentato “l’esercitazione da lockdown più grande al mondo”, come è stata definita da alcuni media internazionali, per testare la capacità del Paese di affrontare tali misure restrittive. Il premier indiano Narendra Modi ha spiegato su Twitter perché fosse necessario rimanere a casa e rispettare il “#jantacurfew” (coprifuoco del popolo), come si legge in uno dei suoi tweet, e ha invitato i cittadini ad essere “sulle terrazze, sui balconi o alle finestre per esprimere gratitudine a tutti coloro che stanno lavorando 24 ore su 24 affinché la nostra nazione possa liberarsi dal COVID-19”.

E così, sulla scia dei flashmob iniziati in Italia, centinaia di milioni di persone hanno partecipato al flashmob più grande al mondo, affacciandosi alle finestre e uscendo dai balconi per battere le mani, suonare le campane e altri strumenti, cantare canzoni patriottiche e fare rumore con pentole e coperchi in segno di ringraziamenti per i medici, gli infermieri e gli operatori che stanno combattendo contro la diffusione del Covid-19.

Problemi e timori

Non sono mancati tuttavia problemi: migliaia di migranti si sono accalcati nelle stazioni principali dei treni per tornare ai loro villaggi, temendo di rimanere senza paga per settimane a causa della chiusura del Paese, e ancora, come in altre nazioni, si sono registrate file interminabili di persone davanti ai negozi di alimentari.

In India è alta la preoccupazione per il coronavirus. Attualmente, i casi di contagi sono oltre 320, ma, secondo l’epidemiologo Ramanan Laxminarayan, direttore del Centro di studio delle dinamiche economiche e politiche delle malattie di Delhi, se il virus si diffondesse, potrebbe portare alla morte di 300 milioni di persone, soprattutto a causa dell’inadeguatezza del sistema sanitario indiano e della scarsità delle attrezzature nelle cliniche e negli ospedali privati. Inoltre, molte persone rientrate da paesi a rischio o che erano entrate in contatto con soggetti positivi al coronavirus sono fuggite dalle strutture pubbliche, rifiutandosi di sottostare alla quarantena.

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