“Via la statua di Montanelli, offende i valori antirazzisti”. La richiesta dei Sentinelli di Milano al sindaco Sala

di Francesco Caputi

 

Sulla scia delle proteste antirazziste scatenate dalla morte di George Floyd e della furia iconoclasta degli ultimi giorni contro statue di personaggi della storia occidentale (fra cui persino quella di Winston Churchill, accusato di essere un razzista, e quella di Cristoforo Colombo a Minneapolis), in Italia i Sentinelli di Milano (un movimento nato nel 2014, che si pone come obiettivo la lotta contro le discriminazioni) chiedono, in una lettera inviata al sindaco Sala, di rimuovere la statua di Indro Montanelli, il quale, durante il colonialismo italiano, “comprò” una ragazzina eritrea di dodici anni come concubina.

Sentinelli: “E’ un’offesa alla città”

“A Milano ci sono un parco e una statua dedicati a Indro Montanelli – protestano i  Sentinelli   – che fino alla fine dei suoi giorni ha rivendicato con orgoglio il fatto di aver comprato e sposato una bambina eritrea di dodici anni perché gli facesse da schiava sessuale, durante l’aggressione del regime fascista all’Etiopia. Noi riteniamo che sia ora di dire basta a questa offesa alla città e ai suoi valori democratici e antirazzisti e richiamiamo l’intero consiglio a valutare l’ipotesi di rimozione della statua, per intitolare i Giardini Pubblici a qualcuno che sia più degno di rappresentare la storia e la memoria della nostra città Medaglia d’Oro della Resistenza”.

Le reazioni

La proposta ha diviso il Consiglio Comunale e ha provocato polemiche in ambienti istituzionali, politici e sociali  culturali.

Spaccatura nel PD: sebbene alcuni consiglieri del PD condividano la richiesta dei Sentinelli, Filippo Barberis, capogruppo del Partito Democratico in Comune, boccia nettamente l’idea: “Sono molto, molto lontano culturalmente da questi tentativi di moralizzazione della storia e della memoria che trovo sbagliati e pericolosi. Atteggiamenti che hanno a che fare più con la categoria della censura che della riflessione critica e che hanno ben poco a che vedere con la sensibilità della nostra città che da sempre si confronta con le contraddizioni e la complessità della societa e dei suoi personaggi. Montanelli ha commesso un errore grave, imperdonabile. Se questo fosse però il criterio per rimuovere statue o cambiare il nome alle vie dovremmo rivedere il 50% della toponomastica mondiale. Sarebbe inoltre poco comprensibile dedicare tempo all’argomento in Comune in questa delicatissima fase dove in testa e a cuore dovremmo avere, e a tutti gli effetti abbiamo, ben altre priorità e progetti”, ha detto Barberis. Favorevole alla rimozione della statua di Montanelli è invece Arci Milano.

Sulla questione si è espresso anche Matteo Salvini. “Giù le mani dal grande Indro Montanelli. Che vergogna la sinistra, viva la libertà”, ha detto il leader della Lega. Contrario anche il capogruppo di Forza Italia, Fabrizio De Pasquale. “Indro Montanelli è un simbolo del giornalismo libero italiano e di chi sa andare controcorrente contro la peggior censura, quella del conformismo. Chiediamo al sindaco di prendere le distanze dai Sentinelli, campioni dell’intolleranza e dell’odio politico”, ha detto De Pasquale. I Sentinelli hanno ricevuto forti critiche anche da Matteo Forte di Milano Popolare, il quale li ha definiti “talebani dell’antifascismo”. “Siamo in tempo di esami di maturità, ripassino la storia e scopriranno che nella città medaglia d’Oro della Resistenza il giornalista fu fatto prigioniero e condotto a San Vittore dai nazisti per poi essere liberato da patrioti cattolici”, ha aggiunto Forte.

Dure critiche alla richiesta dei Sentinelli anche da parte di Riccardo De Corato, vicepresidente della Regione Lombardia. “Continuano gli attacchi alla memoria di Indro Montanelli, uno dei più grandi giornalisti, che con il suo lavoro ha dato lustro all’Italia – ha detto Corato -. “La ‘Floyd mania’ sta offuscando le menti di qualche consigliere comunale: confondere l’omicidio di un povero uomo di colore con la statura culturale di Montanelli, ferito per le sue idee liberali dalle Brigate Rosse, e voler addirittura aprire un dibattito in consiglio comunale è vergognoso”, ha aggiunto.

Chi era Indro Montanelli

Indro Montanelli è stato uno dei più celebri giornalisti della storia del giornalismo italiano. Nato a Fucecchio nel 1909, Montanelli si laureò in giurisprudenza e in scienze politiche. Iniziò la sua carriera scrivendo articoli per La Frusta di Rieti ed era attento lettore di riviste quali L’Italiano di Leo Longanesi e Il Selvaggio di Mino Maccari. Montanelli aveva una fortissima passione per il giornalismo. “Io mi considero un condannato al giornalismo, perché non avrei saputo fare niente altro”, affermò nel 1982.

Nel 1934, Montanelli emigrò a Parigi, dove iniziò a scrivere per il quotidiano Paris-Soir, dal quale fu mandato come corrispondente in Norvegia e in Canada. Gli articoli che Montanelli scrisse in Canada furono letti da Webb Miller, inviato parigino della United Press, alla quale suggerì di assumerlo. Montanelli fu così assunto dalla United Press a New York, senza tuttavia interrompere i rapporti con Paris-Soir, grazie alla quale ebbe la possibilità di intervistare il magnate statunitense Henry Ford.

Nel 1935, anno in cui l’Italia invase l’Etiopia, Montanelli si propose alla United Press come inviato in quella zona di guerra, ma l’agenzia aveva già scelto Webb Miller. Montanelli decise così di licenziarsi dalla United Press e si arruolò come volontario. Il giornalista rimase in Etiopia solo fino a dicembre, quando, ferito, dovette abbandonare i combattimenti.

E’ nota la storia della ragazzina eritrea, a causa della quale oggi viene chiesta la rimozione della statua del giornalista. Montanelli comprò in Etiopia una ragazzina eritrea di dodici anni come concubina. “Non mi prendere per un Girolimoni perché a 12 anni quelle lì erano già donne. Avevo bisogno di una donna, a quell’età si capisce. La comprai assieme a un cavallo e a un fucile, il tutto per 500 lire. Lei era un animalino docile. Quando me ne andai la cedetti al generale Pirzio Biroli, un vecchio coloniale che era abituato ad avere il suo piccolo harem, a differenza di me che ero monogamo perché non potevo consentirmi grandi lussi”, raccontò Montanelli ad Enzo Biagi nel 1982.

Nel 1937, Montanelli partì per la Spagna, dove era scoppiata la guerra civile, come corrispondente del Messaggero. Lì descrisse la ritirata dei repubblicani durante la battaglia di Santander in questi termini: “E’ stata una lunga passeggiata militare con un solo nemico: il caldo”. Mussolini, furioso, ritenne l’articolo fortemente offensivo nei confronti delle forze armate italiane. Montanelli fu espulso dall’albo dei giornalisti e gli fu tolta la tessera del partito, che egli tuttavia non cercò in alcun modo di riavere. Si racconta che Montanelli abbia detto a Mussolini: “Fatemi il nome di un solo militare deceduto in quella battaglia e mi riconoscerò colpevole”. A questo punto, Giuseppe Bottai, allora ministro dell’Educazione nazionale e amico di Montanelli dai tempi della guerra in Etiopia, per evitare il peggio, procurò al giornalista l’incarico di lettore di italiano all’Università di Tartu e di direttore dell’Istituto di Cultura italiano a Talinn, in Estonia. Dall’Estonia Montanelli scrisse articoli per L’Illustrazione Italiana e per il quotidiano torinese La Stampa.

Nel 1938, ottenne un congedo estivo e tornò a Milano. Lì chiese a Ugo Ojetti di essere presentato al direttore del Corriere della Sera Aldo Borrelli. Ojetti, che ammirava il talento giornalistico di Montanelli, fece il suo nome a Borrelli. Montanelli pubblicò il suo primo articolo per il Corriere della Sera il 9 settembre del 1938, in terza pagina. A novembre, Montanelli fu inviato in Albania, dove scrisse un saggio sul Paese balcanico. Montanelli lasciò l’Albania nel marzo del 1939, prima dell’invasione italiana.

1 settembre 1939: la Germania invade la Polonia, dando inizio alla Seconda guerra mondiale. Quel giorno, Montanelli si trovava nelle vicinanze di Danzica. Successivamente, egli assistette anche all’annessione dell’Estonia da parte dell’Unione Sovietica e, nell’ottobre del 1939, scrisse articoli sulla guerra russo-finlandese, nei quali egli mostrava la sua vicinanza alla Finlandia nella lotta contro l’Unione Sovietica. Nel marzo del 1940, Montanelli si trasferì in Norvegia per seguire da vicino l’invasione nazista del Paese. A maggio rientrò in Italia.

Quando, nel 1943, parte dell’Italia finì sotto occupazione tedesca, Montanelli decise di aderire al gruppo clandestino Giustizia e Libertà. Venne tuttavia arrestato insieme alla moglie nel 1944, e finì nel carcere di San Vittore per antifascismo. Lì, durante il primo interrogatorio, Montanelli fece questa deposizione:

“Dal 1938 non appartengo più al Partito fascista. Sono liberale ma non ho svolto nessuna attività in seno al partito omonimo. Ho considerato un giorno di lutto nazionale quello dell’alleanza fra Italia e Germania; ugualmente catastrofico per noi e per voi il nostro intervento in guerra. Considero l’8 settembre come un evento vergognoso e necessario. Come Ufficiale sono fedele al Re. E, siccome il Re è in guerra con voi, anch’io mi considero in guerra con voi. Se l’8 settembre avessi rivestito l’uniforme non mi sarei arreso. Non odio la Germania. Riterrei catastrofica per il mio Paese una sua completa vittoria, così come una sua completa sconfitta. Dopo l’8 settembre ho avuto più volte la tentazione di arruolarmi nelle bande, ma vi ho sempre rinunziato: vorrei combattere come soldato, ma, non potendolo, rinunzio a combattervi come bandito”.

Montanelli venne condannato a morte, ma, grazie all’intervento della madre, che riesce a far intercedere per lui l’allora arcivescovo di Milano, cardinale Ildefonso Schuster, riesce a scampare alla fucilazione. Tutti i suoi vicini di cella (26 persone) vengono fucilati, tranne lui.

A luglio, Montanelli, grazie all’aiuto di più persone, tra cui un funzionario dell’OVRA, viene prelevato dal carcere e portato in un nascondiglio. Dopo dieci giorni, con l’aiuto del CLN, Montanelli e altri prigionieri vengono portati fino a Luino, al confine con la Svizzera, da cui raggiunse a piedi la città di Lugano. Rimase in Svizzera fino alla fine della guerra, e lì collaborò con diversi giornali. Fece ritorno in Italia il 29 aprile 1945.

Nel 1956, Montanelli seguì la repressione sovietica della rivolta di Budapest. Scrisse che a ribellarsi all’URSS non erano borghesi, ma “comunisti antistalinisti”. Questa osservazione gli attirò le antipatie della sinistra stalinista italiana.

A partire dalle metà degli anni Sessanta, la gestione del Corriere della Sera passò a Giulia Maria, che spostò nettamente a sinistra l’orientamento politico del giornale. Per questo motivo, Montanelli uscì dal Corriere, che ormai non riconosceva più, ed insieme ad altri fuorusciti del Corriere della Sera fondò il Giornale Nuovo, poi conosciuto semplicemente come il Giornale.

E’ il periodo del terrorismo delle Brigate Rosse. Montanelli viene gambizzato il 2 giugno del 1977 dalle BR. Il Corriere della Sera racconterà il fatto in un articolo intitolato semplicemente “Gambizzato un giornalista”.

Nel 1977 terminò il finanziamento al Giornale da parte della Montedison. Montanelli accettò il sostegno di Berlusconi. Fra i due non vi furono contrasti significativi fino al 1994, con la “discesa in campo” di Berlusconi. Quest’ultimo disse ai redattori del Giornale che, se volevano stipendi più alti, avrebbero dovuto appoggiare i suoi interessi politici. Montanelli, che aveva sconsigliato a Berlusconi di entrare in politica e che non aveva intenzione di prendere ordini da nessuno, lasciò il suo stesso quotidiano. La direzione del Giornale passò a Vittorio Feltri.

Montanelli decise di fondare una nuova testata, La Voce, per un pubblico di destra liberale non soddisfatto dalla svolta populistica che la destra liberale aveva preso con Berlusconi. La Voce ebbe tuttavia vita breve e chiuse ufficialmente nel 1995. Paolo Mieli, allora direttore del Corriere della Sera, gli offrì la direzione del giornale, ma Montanelli, ormai stanco, rifiutò. Il giornalista italiano affermò di non aver mai dimenticato quel gesto.

Negli ultimi anni, Montanelli scrisse di essere contrario ai matrimoni fra persone dello stesso sesso sostenendo che “la nostra società è basata […] sulla famiglia, e la famiglia è per definizione formata da un uomo e da una donna”, alla legalizzazione delle droghe leggere perché, secondo lui, si sarebbe poi passati alla legalizzazione delle droghe pesanti e si disse favorevole all’eutanasia. Montanelli, negli ultimi anni, si oppose strenuamente a Berlusconi, e sull’appoggio ricevuto dalla sinistra in funzione anti-berlusconiana si espresse in questi termini: “Prima mi demonizzavano, ero il mostro, adesso sono il santone… Ma il santone della sinistra […] Io sono un uomo di destra, io sono un liberal-conservatore… Sono un uomo di destra che non si riconosce nelle forze che oggi si proclamano ‘di destra’”. Disprezzò inoltre fortemente tutti quei membri della sinistra che dal comunismo si erano convertiti al liberalismo.

In politica estera, Montanelli si disse contrario a un allargamento della NATO ad Est e propose invece un Piano Marshall per i Balcani, la Russia e il Medio Oriente. Il giornalista si espresse anche sulle presidenziali statunitensi del 2000, e affermò che, pur simpatizzando per il Partito Repubblicano, se avesse potuto, avrebbe votato per il Democratico Al Gore, il quale, secondo Montanelli, aveva più esperienza sia in politica interna che in politica estera rispetto al Repubblicano George Bush.

Indro Montanelli morì il 22 luglio 2001, all’età di 92 anni.

 

Intanto, nel Regno Unito, prosegue la “guerra” a statue e monumenti. Ecco cosa sta succedendo

Nel Regno Unito si intensifica la “guerra” contro statue e monumenti. La Stop Trump Coalition ha realizzato una mappa interattiva chiamata “Topple the racists”, nella quale vengono elencate placche e monumenti da abbattere in oltre 30 città del Regno Unito. Black Lives Matter ha compilato un elenco di 60 statue da abbattere.

Dopo la statua di Edward Colston, schiavista e filantropo, i manifestanti antirazzisti se la sono presa con la statua di Winston Churchill, accusato di essere un razzista, e adesso hanno nel mirino anche la statua del corsaro Francis Drake.

A Londra, un manifestante è salito sul piedistallo di The Cenotaph, il monumento ai caduti di guerra a Whitehall, e ha dato fuoco alla bandiera del Regno Unito.

Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha annunciato che una nuova commissione rivedrà le statue, i monumenti e i nomi delle strade per assicurarsi che “riflettono la diversità della città”.

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