Arte: apre alle visite la Villa B di Oplontis

Da venerdì 16 luglio apre la cosiddetta Villa B di Oplontis, nota anche come Villa di Lucius Crassius Tertius.

Il complesso, che non è mai stato aperto al pubblico, grazie a un’operazione in sinergia tra il Parco Archeologico di Pompei e il Comune di Torre Annunziata, è stato reso accessibile al piano terra, da cui è possibile ammirare l’antico complesso architettonico. In questo modo è stata resa fruibile una parte della struttura con visite contingentate, in attesa dell’avvio di un più ampio progetto di restauro e valorizzazione.

La riapertura della Villa

Giovedì, 15 luglio, alle ore 10,30 il Direttore Generale del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel e il sindaco di Torre Annunziata, Vincenzo Ascione incontreranno la stampa per una visita in anteprima agli ambienti.

Ogni venerdì di luglio e agosto, dalle 16:00 alle 19:00 (ultimo ingresso ore 18:30) sarà possibile accedere all’edificio accompagnati dall’Archeoclub di Torre Annunziata, nell’ambito di una convenzione tra l’associazione e il Parco archeologico di Pompei.

Più che una villa, in base ai materiali rinvenuti e alla funzione degli ambientiè probabile che si trattasse di un’azienda dedita alla lavorazione di prodotti agricoli e all’imbottigliamento e del commercio del vino, dotata di un quartiere residenziale al piano superiore. All’interno del complesso, che risale alla fine del II sec. a.C., è stato rinvenuto un anello sigillo di Lucius Crassius Tertius, probabilmente il proprietario dell’edificio.

Il nucleo centrale della struttura è costituito da un porticato a due ordini di colonne doriche in tufo grigio di Nocera, intorno al quale si dispongono diversi ambienti di servizio e ad uso produttivo. Sul lato nord si estende una serie di abitazioni su due livelli, separate da una strada in terra battuta.

La storia della villa

Nel periodo tra il 1984 e il 1991, gli scavi della cosiddetta Villa B di Oplontis si concentrarono nell’area orientata verso sud, dove si trovavano otto ambienti voltati affacciati su un portico colonnato, all’epoca rivolto verso il mare, di cui rimane visibile soltanto un breve tratto. I materiali scoperti al loro interno – contenitori di vario tipo e dimensione, suppellettili contenenti resti organici, pesi in marmo e terracotta, attrezzi ed oggetti in metallo, oltre ad una grande quantità di melograni inframezzati da strati di fieno – documentano che questi ambienti erano rimasti in uso come magazzini e luoghi di deposito fino al momento dell’eruzione del 79 d.C.

Uno di essi, l’ambiente 10, diventò la tomba di un gruppo di persone le quali, nel tentativo di sfuggire all’eruzione, cercarono riparo al suo interno. Alcuni degli individui avevano con sé oggetti preziosi quali gioielli, ornamenti in osso ed avorio, monete d’oro e d’argento, suppellettili in bronzo. La maggior parte degli oggetti preziosi fu trovata accanto ai corpi, evidentemente avvolti nelle vesti o racchiusi in appositi contenitori di cuoio, stoffa o corda, ma in altri casi si rinvennero direttamente indosso al proprietario.

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