La scuola in crisi. Ma è davvero tutta colpa della DAD?

di Francesco Caputi

 

Da ieri gli studenti sono tornati fra i banchi. Abbiamo sentito parlare di “studenti in crisi” dopo un lungo periodo di isolamento passato davanti al PC; molti hanno anche detto che la crisi sanitaria ha messo in grave difficoltà la scuola. Ma è davvero tutta colpa della DAD? O forse la scuola italiana era già in crisi prima della pandemia, e la DAD non ha fatto altro che portare alla luce tutte le fragilità e i problemi già esistenti?

La notizia di qualche settimana fa della studentessa veneta costretta a bendarsi gli occhi durante un’interrogazione per dimostrare alla docente che non stava leggendo ci mostra una scuola ossessionata dall’apprendimento nozionistico, con docenti ossessionati dal controllo e diffidenti nei confronti dei loro studenti, docenti che non hanno fatto altro che replicare in DAD il metodo di insegnamento utilizzato in presenza: la lezione frontale, l’interrogazione, la verifica scritta.

Secondo il parere di molti studenti, si tratta di un metodo nozionistico, inadeguato, inutile e anacronistico, che già prima dell’emergenza Covid avrebbe dovuto essere superato e sostituito. La didattica della scuola italiana è infatti rimasta ferma ai primi del Novecento e necessita di radicali cambiamenti. A partire dal metodo di valutazione. Molti sono i ragazzi che credono che sarebbe necessario passare da un sistema che premia le “capacità mnemoniche” dello studente ad un sistema che valuta la capacità argomentativa, creativa e risolutiva. L’interrogazione non dovrebbe essere più il momento in cui lo studente dimostra di aver imparato a memoria le pagine assegnate, ma il momento in cui rielabora ciò che ha studiato, facendolo proprio, collegando più argomenti, senza il timore del voto basso come “punizione” per non aver fatto abbastanza. Sarebbe importante anche lasciar spazio alle opinioni dello studente su un determinato argomento, attraverso il dialogo col docente. E, cosa importantissima, quasi tutti gli studenti ritengono che nelle classi bisognerebbe parlare di attualità: la scuola non può essere un luogo bloccato nel passato ed isolato dal resto del mondo. La scuola è il luogo dove si formano i cittadini del domani, è necessario prepararli e renderli consapevoli del mondo che li circonda.

Quindi, più che discutere di DAD e didattica in presenza, dei problemi della DAD e dei vantaggi della didattica in presenza, bisognerebbe discutere del problema che affligge la scuola italiana, ovvero l’essere rimasta ferma a metodi da caserma novecenteschi, alla lezione frontale e alla centralità dei compiti a casa. Una scuola che, secondo la maggioranza dei giovani, toglie il piacere della conoscenza e dalla quale escono, nella stragrande maggioranza dei casi, analfabeti funzionali. Il problema dell’anacronismo del metodo didattico della scuola italiana è avvertito con sofferenza, oltre che dagli alunni, anche e soprattutto da quei pochi docenti che mettono il cuore nel loro lavoro e hanno sempre cercato di fare del loro meglio nonostante i limiti del sistema scolastico italiano.

Recalcati ai docenti: “Subordinate il rispetto dei programmi alla cura della relazione”

Così lo psicanalista Massimo Recalcati si è espresso in un articolo de La Repubblica sulla riapertura delle scuole e sui metodi didattici dei docenti in questo periodo:

“Ma adesso che la Scuola riapre anche fattualmente e i nostri figli tornano ad occupare i loro posti in aula assistiamo ad uno “strano” fenomeno. Predomina un senso profondo di precarietà (tra quanto torneranno a chiuderla?) e di depressione diffusa (studiare per cosa?). Come ripristinare la prossimità e la relazione se la prossimità e la relazione sono state (e, tra l’altro, tali ancora restano) fattori di rischio di contagio?”

“Molti ragazzi non vogliono tornare a Scuola e se tornano lo fanno trascinando con se stessi una profonda inquietudine. Come abbandonare una prigione che è divenuta il proprio rifugio? Riaprire i propri confini esterni ed interni non è una cosa semplice”.

“Non ha alcun senso bombardare di verifiche i nostri figli quando questo anno scolastico, come quello precedente, è stato ed è ancora appeso ad un filo, quando chiusura e riapertura si sono alternate seguendo necessariamente il ritmo imprevedibile e destabilizzante dell’epidemia”.

“Sta accadendo lo stesso in tutte le organizzazioni: la ricostruzione del tessuto relazionale è diventata la condizione basica per rendere possibile una ripartenza della stessa attività produttiva. Nessun tempo come il nostro ci ha insegnato che la relazione in qualunque organizzazione – Scuola compresa – non è un ornamento secondario rispetto al raggiungimento dei propri obiettivi, ma la sua condizione di possibilità”.

“Dunque, i docenti non farebbero torto alla loro professione se subordinassero la programmazione didattica al recupero del valore umano della relazione. È un mio accorato appello che rivolgo a loro e ai dirigenti scolastici: subordinate, vi prego, il rispetto dei programmi alla cura della relazione perché la didattica senza relazione non può esistere. Il presidente del Consiglio ha annunciato giustamente la necessità per il nostro Paese di percorrere la strada del debito”.

“Non bombardate, vi prego, i nostri ragazzi con verifiche a tappeto nel nome di un compimento formale dei programmi didattici. Quello che stanno vivendo non è un tempo perso, ma un tempo che potrebbe essere dedicato a ritessere i legami che costituiscono la vita comunitaria della Scuola; fare crescere lavori di gruppo”.

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