Cinema e molestie: nasce “Dissenso comune”

 “Questo è il tempo in cui abbiamo smesso di avere paura”: ecco il Time’s Up all’italiana sull’onda del caso molestie del potente di Hollywood Harvey Weinstein di ottobre scorso. Dalla A di Ambra Angiolini alla T di Jasmine Trinca, passando per le sorelle Comencini e Rohrwacher, Anna Foglietta, Giovanna Mezzogiorno, Francesca Marciano, Kasja Smutniak, Paola Cortellesi, Isabella Ragonese, Vittoria Puccini e decine di altre, in tutto, per ora, 124 donne del cinema italiano dopo mesi di riunioni e scambi di mail con una lettera manifesto ospitata da Repubblica.It hanno dato alla luce un collettivo, Dissenso Comune. Dopo il #metoo, con strascichi polemici, di Asia Argento che ha accusato il produttore di stupro (come avevano fatto le sue colleghe Rose McGovern e Ashley Judd dando il via alla vicenda sul New York Times), si è molto parlato dell’assenza di voci italiane, se non per dichiarazioni isolate. Dissenso Comune sembra essere la risposta, unitaria e la nascita insieme di un nuovo movimento (?) che nel caso italiano avrebbe, anche nelle firme di molte delle 124, un ideale collegamento con Se non ora quando, che portò il 13 febbraio 2011 in piazza del Popolo a Roma un milione di persone. La lettera manifesto con le firme in calce, tutte rigorosamente in ordine alfabetico per evitare che si faccia riferimento ad una leadership, è stata pubblicata nel pomeriggio sul sito di Repubblica ma, secondo quanto si apprende, avendo una accelerazione non prevista. Anche il sito, dove aderire, non c’è ancora, forse si vedrà da domani. E iniziative pubbliche sono in preparazione. A partire dal caso Weinstein, in molti paesi le donne di cinema hanno avuto rivelato “una verità così ordinaria da essere agghiacciante”. La lettera manifesto “non è solo un atto di solidarietà nei confronti di tutte le attrici che hanno avuto il coraggio di parlare in Italia e che per questo sono state attaccate, vessate, querelate, ma un atto dovuto di testimonianza. Noi vi ringraziamo perché sappiamo che quello che ognuna di voi dice è vero e lo sappiamo perché è successo a tutte noi con modi e forme diverse. Noi vi sosteniamo e sosterremo in futuro voi e quante sceglieranno di raccontare la loro esperienza”, scrivono senza citare ma sottintendere ad esempio proprio Asia Argento. “Quando si parla di molestie quello che si tenta di fare è, in primo luogo, circoscrivere il problema a un singolo molestatore che viene patologizzato – il riferimento sembra essere al caso del regista Fausto Brizzi, accusato di molestie da 15 aspiranti attrici,ndr – e funge da capro espiatorio. Si crea una momentanea ondata di sdegno…appena si placa , il buonsenso comune inizia a interrogarsi sulla veridicità di quanto hanno detto le “molestate” e inizia a farsi delle domande su chi siano, come si comportino, che interesse le abbia portate a parlare”. Nella lettera-manifesto si sottolineano le meccaniche della cosiddetta “macchina della rimozione”. “La scelta davanti alla quale ogni donna è posta sul luogo di lavoro – proseguono le firmatarie – è: Abituati o esci dal sistema”. Valeria Golino, Iaia Forte, Francesca Lo Schiavo e le tante altre scrivono: “Non è la gogna mediatica che ci interessa. Il nostro non è e non sarà mai un discorso moralista. La molestia sessuale non ha niente a che fare con il “gioco della seduzione”. Noi conosciamo il nostro piacere, il confine tra desiderio e abuso, libertà e violenza”. La molestia sessuale come fenomeno trasversale, anzi come sistema, teorizzano, promotrici di un discorso sul ‘tempo scaduto’ che non riguarda ovviamente solo il mondo del cinema. “Un assetto sotto gli occhi di tutti, quello che contempla l’assoluta maggioranza maschile nei luoghi di potere, la differenza di compenso a parità di incarico, la sessualizzazione costante e permanente degli spazi lavorativi. La disuguaglianza di genere negli spazi di lavoro rende le donne, tutte le donne, a rischio di molestia poiché sottoposte sempre a un implicito ricatto. Succede a tutte. Nominare la molestia sessuale come un sistema, e non come la patologia di un singolo, significa minacciare la reputazione di questa cultura. Noi non siamo le vittime di questo sistema ma – concludono – siamo quelle che adesso hanno la forza per smascherarlo e ribaltarlo. Noi non puntiamo il dito solo contro un singolo molestatore. Noi contestiamo l’intero sistema”. (ANSA)

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