Reggio Calabria, catturato il boss mafioso Marcello Pesce

Leggeva Proust e Sartre, ma la sua cultura era solo al servizio della cosca di appartenenza della quale, secondo gli investigatori, era la mente strategica. Marcello Pesce, di 52 anni, detto il “ballerino” per la sua passione per la movida milanese, e’ stato catturato all’alba dopo sei anni di latitanza. Il suo nome era inserito nell’elenco dei ricercati piu’ pericolosi d’Italia. Con un lavoro paziente e meticoloso gli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo hanno stretto il cerchio intorno a lui poco alla volta, fino a giungere all’individuazione del suo nascondiglio. Che non era un bunker nel sottosuolo o nell’intercapedine di un qualche casolare, ma un comodo appartamento di due stanze nel centro di Rosarno, “feudo” dal quale la sua famiglia controlla tutti gli affari illeciti della zona con diramazioni al nord Italia. Con lui sono stati arrestati, per favoreggiamento, Salvatore Figliuzzi, di 61 anni, ed il figlio Pasquale (40). Avuta la certezza che il boss fosse all’interno, gli uomini della polizia hanno fatto irruzione sorprendendolo nel letto. Dopo un primo momento di smarrimento ha ammesso la sua identita’: “Si sono io Marcello Pesce”. E poi, rivolto al capo della mobile reggina Francesco Ratta’: “io la conosco, l’ho vista in tv”. “Un’intelligenza prestata al crimine” l’ha definito lo stesso Ratta’. Un’intelligenza che lo aveva portato a lanciarsi nel mondo del calcio assumendo la presidenza della squadra di calcio dilettantistica di Rosarno e poi la proprieta’, insieme a quella del Sapri (Salerno), per cercare consenso sociale. Di lui si erano perse le tracce nell’aprile 2010 quando la polizia lo ando’ a cercare per notificargli un fermo, poi tramutato in ordinanza di custodia cautelare, nell’ambito dell’inchiesta “All Inside” coordinata dalla Dda reggina, che disarticolo’ la cosca Pesce, una delle piu’ agguerrite della ‘ndrangheta. Rimasto l’unico boss in liberta’, dalla latitanza ha continuato a gestire gli affari del clan. La sua “carriera” criminale inizia negli anni ’90 con le prime informative che lo riguardano. E in quegli anni finisce anche a processo con Licio Gelli, l’ex venerabile della Loggia P2, e alcuni politici, per un’inchiesta dell’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova sugli intrecci tra mafia, politica e massoneria. Inchiesta dalla quale usci’ con un’assoluzione insieme all’ex capo della P2. Il suo potere all’interno della famiglia e’ continuato a crescere con gli anni ed adesso Marcello Pesce, figlio di Rocco, trucidato il 7 giugno 1969 in un agguato di stampo mafioso, e nipote del defunto boss Giuseppe, e’ considerato dagli investigatori il capo indiscusso dell’omonima cosca. “Oggi e’ una bella giornata per l’Italia: un pericoloso latitante, ricercato in campo internazionale da sei anni, e’ stato assicurato alla giustizia” e’ stato il commento del ministro degli Interni Angelino Alfano. Per Pesce si sono aperte le porte del carcere per una condanna a 16 anni e 2 mesi rimediata in appello. Ma prima di farsi ammanettare ha chiesto agli agenti di poter portare con se le sue letture preferite, che teneva sul comodino, alcune appena acquistate ed ancora confezionate.

FONTE ANSA

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